L’ottimo (?) compromesso dell’Unione Europea su energia e clima

19 12 2014

Per consentire ai nostri lettori di orientarsi e comprendere maggiormente in cosa consistono i nuovi obiettivi su clima ed energia per il 2030, recentemente approvati dai leader dell’Unione Europea, riproponiamo un’ottimo articolo pubblicato sulle pagine dell’associazione Ekoclub International.
L’articolo originale è reperibile qui.

Lo scorso 23 ottobre in un vertice a Bruxelles i leader europei hanno concordato i nuovi “obiettivi climatici ed energetici” per il 2030. Si tratta di una riduzione di “almeno” il 40% (rispetto ai valori del 1990) delle emissioni di gas ad effetto serra [1], e di un incremento del contributo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, che dovrà essere supportato al fine di raggiungere il traguardo del 27%.
Le reazioni delle parti interessate variano dall’amara delusione di alcune ONG e degli “avvocati” dell’efficienza energetica all’accettazione riluttante degli stakeholder e degli investitori coinvolti nell’industria delle fonti rinnovabili. I responsabili politici dell’UE insistono nel dichiarare un successo.
Prima di addentrarci nei dettagli di quanto discusso e deciso a Bruxelles, vale la pena chiarire cosa significhino le percentuali riportate. Partiamo con il dare uno sguardo allo “stato dell’arte” della produzione di elettricità da fonte rinnovabile nell’Europa-a-27. Qui di seguito alcuni grafici dovrebbero illustrare la situazione in modo eloquente:

ProdEletEU27
ProdElet-rinnovabiliEU27
AndamFontiRinnov

Si vede che nel settore della produzione di energia elettrica il traguardo del 27% non è lontano per le rinnovabili. È inoltre evidente che tra queste continua ad avere un ruolo preponderante l’idroelettrico, mentre la spinta maggiore l’hanno dimostrata eolico e biomasse. (N.B. nel grafico l’incenerimento dei rifiuti comprende sia quelli agricoli che quelli urbani, e le biomasse comprendono quelle solide, quelle liquide ed il biogas.) La fonte solare ha fatto un salto notevole in 12 anni; ma nel complesso, nell’Unione Europea, non ha ancora raggiunto il traguardo del 10%, come contributo alla produzione di elettricità da rinnovabili. E questo 10% diventa poco più del 2% sul totale di 3075 TWh prodotti nel 2012. (N.B. 1 terawattora [TWh] è pari a 1 miliardo di chilowattora [kWh].) L’energia del mare (onde, flussi e maree) e della terra (geotermia) continuano ad avere un ruolo marginale [2].
Occorre, tuttavia, tenere conto che i consumi energetici non riguardano solo l’utilizzo dell’elettricità.
Cosa si può fare per incidere anche sulle altre voci di consumo?
Per esempio, si può incrementare il contributo delle fonti rinnovabili cambiando i sistemi con cui riscaldiamo e raffreschiamo gli edifici ed utilizzando pompe di calore geotermiche. Oppure si possono scaldare gli ambienti utilizzando biomasse in modo efficiente, come nel caso delle stufe a pellet. Oppure si possono utilizzare pannelli solari per la produzione di acqua calda sanitaria. Oppure si possono elettrificare i consumi e contemporaneamente aumentare gli impianti per la generazione di elettricità da fonte rinnovabile.
Passiamo, ora, all’altro 27%.
Quando si parla di aumentare l’efficienza energetica, si intende “in soldoni” ridurre il consumo di energia e prevenirne gli sprechi.
Le possibilità di riduzione attuali sono notevoli, in particolare nei settori ad elevato consumo di energia, quali il settore dell’edilizia, delle industrie manifatturiere, della conversione dell’energia (e.g. produzione di elettricità), e dei trasporti. Per fare alcuni esempi concreti, la coibentazione di pareti verticali, tetto e solai di un edificio permette di utilizzare meno energia per raggiungere e mantenere una temperatura confortevole. L’installazione di lampade fluorescenti o a LED riduce, invece, la quantità di energia necessaria per raggiungere lo stesso livello di illuminazione rispetto all’utilizzo di tradizionali lampadine a incandescenza.
Già alla fine del 2006 l’UE si era impegnata a ridurre del 20% il consumo annuo di energia primaria entro il 2020. Per conseguire questo obiettivo, sono stati mobilitati sia i cittadini che i responsabili politici e gli operatori del mercato. Sono state fissate, infatti, norme minime di rendimento energetico e regole precise in materia di etichettatura, applicabili ai prodotti, ai servizi ed alle infrastrutture.
Per quanto concerne la riduzione del 40% delle emissioni di gas serra, occorre distinguere tra quelle che rientrano nel sistema ETS (Emission Trading Scheme) e quelle contabilizzate al di fuori. Per intenderci, la “parte non-ETS” riguarda le emissioni provenienti dagli edifici, dai trasporti e dall’agricoltura, la “parte ETS” tutto il resto – fatta salva qualche eccezione.
Nel “gioco delle parti” dovrebbe avere un ruolo sempre più importante la tecnologia CCS, ossia quella che permette la cattura e lo stoccaggio (detto anche “sequestro”) dell’anidride carbonica presente nei fumi di combustione esausti o, prima della combustione, nei gas di combustione.
Il sistema ETS consiste essenzialmente in uno scambio di quote di emissione, ed è considerato lo strumento principale con cui in Europa si applica il famoso Protocollo di Kyōto.
La Direttiva ETS prevede che dal primo gennaio 2005 gli impianti “grandi emissori” dell’UE non possano funzionare senza ricevere un’autorizzazione ad emettere gas-serra. Ogni impianto autorizzato deve compensare annualmente le proprie emissioni in base a delle quote. Tali quote possono essere acquistate nell’ambito di aste pubbliche europee o sul mercato. Possono anche essere ricevute a titolo gratuito.
Il quantitativo totale delle quote in circolazione nel sistema ETS è definito a livello comunitario in funzione degli obiettivi dell’Unione Europea. Per il 2030: -43% emissioni rispetto ai livelli del 2005.

CO2

Nel 2013 il totale delle quote in circolazione nel sistema ETS ha seguito una tendenza di riduzione annuale pari all’1,74%. Vale a dire che ogni anno, da qui al 2030, il quantitativo totale delle quote di emissioni disponibili nell’Europa-a-27 dovrebbe continuare ad essere ridotto del 2% circa.
Si era detto -40% (in tutto) dal 1990 al 2030. Abbiamo visto che per i “grandi emissori” questo si traduce in un -43% (dal 2005 al 2030), il resto spetta agli “emissori non-ETS” e si traduce in un -30% (dal 2005 al 2030). Quest’ultima “fetta della torta” sarà composta mettendo insieme obiettivi nazionali e negoziabili. Gli Stati membri potranno, infatti, scambiare questi obiettivi, o parti di essi. Il tutto distribuendo gli sforzi sulla base del relativo PIL pro capite.
Si noti che il trasporto rimane la fonte delle emissioni di gas serra in più rapida crescita nella UE.
Torniamo, ora, alla politica.
È importante ricordare che gli obiettivi saranno sottoposti a revisione una volta conclusi i “Colloqui sul Clima”, che si terranno presso le Nazioni Unite a Parigi nel dicembre 2015.
Questo ha messo in maggiore allerta chi oggi è già deluso; ma il presidente (uscente) del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy ha insistito nel dire: “siate certi, non andremo al di sotto di quello che abbiamo concordato oggi”. D’altra parte, i leader europei sono stati molto chiari: gli obiettivi per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili non verranno tradotti in obiettivi vincolanti a livello nazionale. E questo è senz’altro uno degli aspetti che più ha agitato la discussione, o meglio che ha suscitato la delusione di chi auspicava obiettivi più ambiziosi che incentivassero maggiori investimenti.
In ogni caso ora la palla passa all’ex primo ministro polacco Donald Tusk che entrerà in carica nel mese di dicembre.
Anche questo è un aspetto interessante, da non sottovalutare: i Paesi dell’Europa centrale ed orientale, riuniti nel Gruppo di Visegrád, sono riusciti ad ottenere agevolazioni finanziarie consistenti, in cambio della firma al pacchetto, proprio perché guidati dalla Polonia. La loro più grande vittoria consiste nel fatto che gli Stati membri con un PIL pro-capite inferiore al 60% della media dell’UE possono scegliere di continuare a finanziare il settore energetico e/o a rilasciare “quote a titolo gratuito”, fino al 2030.

FigEnerRinn

Alcuni si sono lamentati del fatto che tutto questo è semplicemente un altro modo per sostenere la produzione di elettricità da impianti a combustibili fossili. Il che non aiuterebbe a trasformare il sistema energetico. In realtà, è ben noto l’interesse del Gruppo di Visegrád a lanciare (Polonia in primis) o rilanciare il settore elettronucleare, ed anche questo necessita di opportuno sostegno.
Infine, per mantenere la competitività dell’industria europea, le conclusioni del vertice prevedono che continueranno ad essere concesse dopo il 2020 delle quote di “emissioni libere” a tutte quelle industrie che sono a rischio di ri-localizzazione, ossia che potrebbero essere tentate di lasciare l’Europa per regioni che hanno vincoli più deboli sulle emissioni di gas ad effetto serra.
Facciamo dunque il punto, proponendo alcuni spunti di riflessione, nella speranza che siano di aiuto a chi legge per elaborare liberamente il proprio giudizio:

  • Obiettivo 40% di riduzione delle emissioni di gas serra rispetto ai valori del 1990
    Non pochi sono rimasti delusi anche da questo obiettivo. Forse un’ulteriore sguardo al grafico qui sopra, dove si vede il punto di arrivo al 2050, potrebbe essere fonte di consolazione.
    Trasformazioni più veloci dei sistemi produttivi implicano necessariamente maggiori costi energetici. In altre parole, le transizioni energetiche richiedono energia per essere compiute e stringendo i tempi di transizione è molto probabile che si ottengano sia maggiori costi sia maggiori emissioni.
    Tra le altre cose si è stabilito che il sistema ETS deve essere integrato con un meccanismo che permetta di stabilizzare il mercato. In che modo, non è dato sapere – per ora i dettagli non sono pervenuti.
    Negli ultimi anni il prezzo per l’acquisto del diritto di emettere una tonnellata di anidride carbonica è stato basso, in quanto soppresso dalla riduzione della domanda di energia, e dalle disposizioni che hanno concesso permessi generosi agli impianti a combustibili fossili esistenti.
    Le quote di “emissioni libere”, permettono ai Paesi in maggiore difficoltà (o più indietro nel cammino dello sviluppo) di tutelare un numero non trascurabile di posti di lavoro.
  • Obiettivo 27% di energia da fonti rinnovabili
    Considerata l’Europa-a-27 nel suo insieme, il traguardo nella produzione di energia elettrica è vicino. Chi si aspettava un traguardo più ambizioso in vista del quale alimentare il proprio settore industriale/finanziario ha espresso con forza la propria delusione.
    Per chi ha interessi consolidati, più o meno incentivati e/o sussidiati, e circoscritti nel settore degli impianti di generazione di potenza (soprattutto quelli di grandi dimensioni) le possibilità di espansione del mercato sembrano essersi ristrette. E con queste la possibilità di offrire/garantire posti di lavoro.
    Per molti Paesi (soprattutto quelli più “ricchi”) l’impegno della rete elettrica da parte di sistemi a fornitura intermittente ha raggiunto da tempo livelli di guardia. Inoltre, esistono limiti fisici, legati alla disponibilità delle fonti rinnovabili ed all’uso del territorio.
    Rimangono, tuttavia, “ampi spazi di manovra”: innanzitutto, un Paese membro che vuole spingere al massimo le energie rinnovabili sarà libero di farlo ─ non ci sono vincoli nazionali; inoltre, i consumi energetici non riguardano solo l’utilizzo dell’elettricità.
    Rimane anche spazio per il recupero energetico dei rifiuti, a valle della raccolta differenziata e del riciclaggio. Per alcuni materiali il riciclo all’infinito è impraticabile, oltre ad essere dannoso per l’ambiente a causa dell’impiego massiccio di energia e di composti chimici.
    Infine, i Paesi che desiderano impegnarsi nella de-carbonizzazione [3] utilizzando la produzione elettronucleare sono liberi di farlo. E questo non è necessariamente un punto a sfavore delle rinnovabili. La concorrenza tra queste due fonti nel campo dei finanziamenti pubblici (incentivi, sussidi, ecc.) potrebbe essere un problema; ma, se l’obiettivo primario rimane la riduzione delle emissioni di gas serra, sono possibili mix molto interessanti ed efficaci.
    In generale, potrebbe rivelarsi di grande aiuto l’aumento del coefficiente di interconnessione della rete elettrica. Altrettanto interessante potrebbe essere il miglioramento del sistema di trasporto e dispacciamento del gas tra i vari Stati membri dell’Unione Europea.
  • Obiettivo 27% di efficienza energetica
    Il problema principale potrebbe essere quello di non avere un vincolo a livello comunitario.
    Anche qui lo spazio di manovra è ampio; ma la libertà di decisione lasciata ai singoli Stati membri potrebbe entrare in contrasto con i desiderata di chi punta al finanziamento delle rinnovabili, o del nucleare, o in generale dei sistemi esistenti.

Note:[1] Il vapore acqueo (H2O), il biossido di carbonio (CO2) – meglio noto come anidride carbonica, l’ossido di diazoto (N2O) – meglio noto come protossido di azoto, e il metano (CH4) sono i principali gas serra presenti nell’atmosfera terrestre. Ne esistono molti altri, che hanno bassissime concentrazioni in atmosfera ma possono rimanervi a lungo con effetti non trascurabili. Il Protocollo di Kyōto, e quindi la Commissione Europea, regolamenta le emissioni di CO2, N2O, CH4, esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).

[2] Lo storico si ferma al 2012. Per il 2013 siamo riusciti a trovare i dati concernenti la produzione di elettricità di singoli Paesi, come Germania e Regno Unito, ma non quelli della UE nel suo insieme. Il fatto non ci stupisce: è prassi, ad esempio, della IEA pubblicare i dati circa 15 mesi dopo la chiusura dell’anno in esame.

[3] Per decarbonizzazione si intende il processo di cambiamento del rapporto carbonio-idrogeno nelle fonti di energia. La prima fonte primaria per l’Uomo è stata la legna, caratterizzata da un elevato rapporto carbonio-idrogeno (10:1). Il carbone fossile, invece, ha soltanto due atomi di carbonio ogni atomo di idrogeno (2:1). Con il petrolio il rapporto vede scambiati i valori (1:2), ossia per ogni atomo di carbonio esistono due atomi di idrogeno. Con il gas naturale si ha un ulteriore progresso (1:4). Con nucleare e rinnovabili si va oltre: fatta eccezione per le biomasse, queste fonti prevedono l’utilizzo di processi che comportano emissioni di carbonio limitate solo alla fase di fabbricazione/costruzione/manutenzione di impianti, sistemi ed apparecchiature.

Fonti principali:

European Council (23 and 24 October 2014) – Conclusions on 2030 Climate and Energy Policy Framework
http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/ec/145356.pdf

The Shift Project Data Portal:
http://www.tsp-data-portal.org/Breakdown-of-Electricity-Generation-by-Energy-Source#tspQvChart

Commissione Europea – Climate Action:
http://ec.europa.eu/clima/policies/roadmap/milestones/index_en.htm

Statistiche dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA):
http://www.iea.org/publications/freepublications/publication/KeyWorld2014.pdf